terça-feira, 14 de outubro de 2008

MARLY DE OLIVEIRA interpretada por Lauro Moreira

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Lançamento CD

MARLY DE OLIVEIRA
interpretada por Lauro Moreira


Novembro
Dia 3 - Instituto Camões, Embaixada de Portugal, Brasília
Dia 5 - Fundação Jayme Câmara, Goiânia
Dia 7 - Casa da Ópera, Ouro Preto

A propósito deste CD
Por sua origem erudita, sua linhagem clássica e sua alta qualidade literária e filosófica, a exigente obra poética de Marly de Oliveira foi celebrada por figuras do porte de Alceu de Amoroso Lima, Augusto Meyer, Clarice Lispector, João Cabral de Melo Neto, José Guilherme Merquior, Manuel Bandeira, Carlos Drummond de Andrade, e até pelo grande poeta italiano G. Ungaretti.
Escrevendo sobre ela em 1989, Antônio Houaiss lamentava que, em vista das sérias deficiências do ensino da língua portuguesa no Brasil, poucos seriam os leitores que saberiam situar-se nesses escritos. Mas arrematava convicto que "tempos virão em que isso se alcançará e Marly de Oliveira - poeta por ora de poetas- será poeta de todos nós, que a leremos emocionados e gratos pela coragem e beleza que esparziu no nosso mundo."
Admirador fervoroso dessa obra poética desde seu nascedouro, pretendo - com este álbum onde interpreto 120 poemas de 12 de seus 17 livros publicados - não apenas prestar à autora uma homenagem póstuma mais que merecida, como sobretudo contribuir para sua difusão e para que a profecia de Antônio Houaiss se realize o mais breve possível.
Lauro Moreira

POEMAS DE MARLY DE OLIVEIRA EM ITALIANO - traduzidos por Giampaolo Tonini

POETI BRASILIANI CONTEMPORANEI a cura di Silvio Castro, traduzioni i Giampaolo Tonini.

Venezia: Centro Internzionale della Grafica di Venezia, 1997.
(Quaterni Internazionali di Poesia – 1)
Opera pubblicata con contributo del Ministério da Cultaura do Brasil
Fundação Biblioteca Nacional
Departamento Nacional do Livro.

LA SOAVE PANTERA I
Come qualsiasi animale,
guarda le sbarre fluttuanti.
Ecco che le sbarre son ferme:l
ei, sì, è deambulante.
Sotto la pelle, trattenuta
— in silenzio e morbidezza —
la forza del suo male,
e la dolcezza, la dolcezza,
che scende nelle zampe
e le zampe abitua
a quel modo di andare,
e di essere suo, suo,
nel perfetto equilibrio
della sua vita aperta:
uma e attenta a se stessa
soavissima pantera.

LA SOAVE PANTERA II
É soave, soave, la pantera.
Ma se la si vuol toccare
senza la dovuta cautela,
subito la si vedrà transformata
nella fiera che ha dentro di lei:
la zanna de più puro avori
onella nerezza sempre in allerta,
ed essere, in tutto e per tutto,l
a pantera senza riserve,
l´impeto, la forza ludica,
dell´unghia lunga e scoperta,
l´estasi della sua furia,
sotto la dolcezza che la fiera
in reposo, se non la si tocca,
sembra avere lla semplice
forma che non si scatena
da sola, anzi pare,
nella mansa, mansa e lucente
pellicia di cui si adorna,
un vivo, intenso gioiello.

LA SOAVE PANTERA V
Con tanto furore interno,
chi mal le potrà impedire
di essere il suo stesso inferno,
di, per il fuoco dell´ira,
consumarsi stando quieta,
e di avvilirsi da sola.
Non si direbbe una regina!
Le zampe posando al suolo
con una dura leggerezza,
il pelo brilla come onice,
— di se stessa prigionera —
cammina avanti e indietro
comme per il mondo intero,
Smeraldi di silenzio
nei suoi aguardi accesi.

CONTATTO IX
Nella sera in quiere l´azzurro stende
su ogni cosa un liquido silenzio,
e me invece lascia sola, appartata,

fedele osservante di um assillante
soliloquio amoroso, propiziato
dalla tua assenza e dalla mia infausta mente.

Dal giogo non imposto e incerto stato
nessuno mi libera, che questo mal di oggi
ancor è il bene in ma transfigurato

complice la distanza e la memoria,
non il caso o il sogno, non il seppia
che a volte copre il suolo di malinconici

paesaggi. Che notturne, vane, piene
forme create dall´immaginare
venturoso (che neanche il sonno acquieta)

si levan da me a te, crescono nell´aria,
senza domande, propositi, certezze,
e in dense spire lentamente salgono,

impregnate di limpida oscurità.
Qui la solitudine non rattrista,
anzi feconda l´antica natura

che dorme a cosi grande mito avvinta.


CONTTATO XXVI
Di nuovo il tuo richiamo mi fa alzare,
e ti seguo paziente e discreta
o solitudine, o nulla

miraculoso tra le ombre di questa casa,
ah desiderio di ardere nell´antica fiamma,
che già ieri m´intrattenne

fino all´alba, perduta e ritrovata
nei puri pensieri che mi venivano.
Chi ringaziare?

e come? e dove? la gioia di stare
qui, accanto al letto, soave e leggera,
e tuttavia, piena.

Nessun bene confiscato, um connessivo
sentirsi portare a um non so dove senza
nessuna durezza, e dolere

di speranza o di un quase intendimento.


IL SANGUE NELLA VENA I
La carne è buona, è necessario lodarla.
La carne à buona, non è triste o debole,
Ciò Che l´affeta è la debolezza Che c´è in un uomo,
la tristrezza, più grande di un uomo, la uccide.
La carne non há nulla, salvo il suo sonno,
creta tranquilla d´armoniosa forma,
corpo reale di tutta la nostra gloria.
La carne è lo strumento del principio,
è per essa che io vivo, Che viviamo,
e se rivela l´amore com´è dovuto:
ciò Che sta fuori si unisce a ciò che sta dentro,
anima e corpo nel corpo confusi,
e la sensazione assoluta di star vedendo.


IL SANGUE NELLA VENA II
Ma vedendo che cosa con gli occhii, con i sensi.
Che visione ci permettono, se non quella
instantanea e fagace, che non governo,
e che non supporitiamo tanto è bella.

Il vedere tranquillo, senza eccesso, io voglio,
como la luce delicata che c´è in una barca,
in una foglia, in un animale; um vedere quieto,
che assobendo il reale, ci lasci sazi;
un vedere più grande della fame, dilatato;
un veder-amore, non acque, como un cactus,
ma un cactus che potesse essere domato,
e, non essendo acqua, essere bevuto.


IL SANGUE NELLA VENA XVII
É como il rinascere di un´onda impetuosa,
cosi bello e atteso, e con l´allegria
di chi è stato sorpreso dall´acqua,
che sapeva che veniva, ma non vedeva.
I corpi che si muovono verso la chiara
constantazione del dolore che si voleva,
onda violenta come da altra onda
del tutto naturalmente rinata;
i corpi che soavemente si muovo
noin soave ondeggiare di cosa fredda,
e si muovono sempre verso dentro,
— la gioia dell´amore è un´agonia —
sempre più serrato e più intenso
quel che ci muove e che non vedevamo.


IL SANGUE NELLA VENA XVIII
La forza che c´è nella luce, non l asua assenza,
può essere l´origine più segreta
dell´oscuro in cui affondiamo d´improvviso:
per accesso d´amore, io non capisco
— il fruscio lieve, la cruda seta —
que che ci muove, e che oltrepassa
il limite di tutto ciò che sappiamo.
Per accesso di dolore io mi umanizzo,
io mi faccio piccola e cosi reale,
diventiamo sereni, silenziosi,
cosi reali e innocenti e lievi,
che quella luce che non vediamo è troppa.
Anche essere è un eccesso in cui cadiamo.


IL SANGUE NELLA VENA XXVIII
Tu solo, puro amor, se che allontani
quel nulla essenziale che è cosa viva,
quel nulla essenziale che è nostra forza,
che si appoggia alla monotonia.
Tu solo riesci a far di ciò che è tédio
soave perferzione della gioia,
soave perfezione di cio che è tênuee
há il vivo splendore di una gemma.
Io vivo, io mi alimento, io mi riposo,
e talvolta, come casa, sono vuota,
in cui s´aggira, non notato, il fuoco
di una speranza schietta e tutta piana.
Tu solo, mi daí quel trono, puro amor,
dove si regna e, schiava, si è regina.


IL SANGUE NELLA VENA XXIX
Tu solo, m´infondi quella bramosia,
e più che bramosia,quella dolcezza
agonica che mi scorre nel corpo,
olio senza pace è quella dolcezza,
quel timore, quel modo di amare
ossessivo, quel modo quase ingiusto.
D´improvviso io non sto più dentro de me,
d´improvviso divento piena e oscura,
como um fiume gonfio oltermisura,
che il suo argine avesse superato,
e non sapesse che farfe cella acque.
Cosi l´amore eccede quel che si vive,
e nel mio pensiero egli si sparge
com quella perfezione che s´è nell´impossibile.



O MAR DE PERMEIO – 1997

NUMA RUA DE AMSTERDAM

3. Em Amsterdam na Diezestraat 6
alguém me espera alguém me quer
alguém dá vida e brilho à minha vida
tão dividida que mal se define entre
aquilo e o que.

Alguém me espera entre tulipas
alguém me espera entre folhas tombadas
sob o sol sob a chuva sob o frio
alguém me espera espera espera.

Alguém constrói a sua casa
como artesã-abelha delicada;
sobre o sofá um quadro, uma explosão,
que cada dia mais entendo, cada ano mais,
e outros móveis, cortina,
cozinha, um banheiro
todo branco.

E para mim um quarto, uma cama,
um edredom azul, uma escova,
papéis e muitos outros objetos,
telas tintas um pedaço de ferro,
outro de ouro, outro de aço.
Alguém de longe me acena
com uma lareira acesa.


PSICOLOGIA DA LEMBRANÇA

4. Tão fácil deixar o quarto assim:
lenços roupas empilhadas
tênis papéis por todo lado,
os livros do colégio, um copo d’água,
mas um jeito de amar fala mais alto
e vai fazer a cama, renovando os
lençóis; é tão forte o calor, dói
a coluna, mas nem dói mais, quando
sonolenta ela entra
e sorri sonolenta, um anjo
pousado um momento
no meu ombro; agora a cama está sempre
feita, o armário sempre arrumado, ela
longe longe longe numa
moldura mais que perfeita, e o
dia inteiro olho seu quarto, os quadros,
faz tanta falta aquela desordem!
ela está lá e está aqui
dentro de mim,
e quando sequer falamos
ao telefone é como se nem
entre nós um oceano
houvesse, como se nem.


TOPOGRAFIA DA LEMBRANÇA

8. Em Brasília era tudo diferente:
a arquitetura quase dispensava
a paisagem frequente mas de
um a outro não-canto da cidade
era sempre uma viagem.

O arquiteto foi tão claro
que às vezes óculos escuros
se faziam necessários
para forjar o acordo entre
aquele que contempla e o contemplado.

O traço quase sempre reto e puro
algumas formas arrendondadas
a cúpula o silêncio o nu,
e nós janelas escancaradas
da nossa casa que dava
para a grama do jardim e o lago.


CASAMENTO NO CAMPO

22.Em maio em Amsterdam em Amstelveen
na capela no átrio na passarela,
no tapete vermelho da capela,
ela vai entrar com o pai lentamente
o rosto tão perfeito o corpo leve
desprendido da pedra da qual a talhamos
não da pedra talvez da madeira
nobre que ainda se encontra
em algumas florestas;
nada me fazia temer nada
do que viria mais tarde
era a luz da primavera os girassóis
de Van Gogh/a força de Rembrandt
de Vermeer de Mondrian
tudo tão íntimo, eu tão cega,
e era impossível prever
o naufrágio nos canais
cobertos de tulipas
brancas vermelhas amarelas.

O BANQUETE – 1988

1. Foi desde sempre, do início,
esse registro de ventos,
cruéis e frios, que vedam
todo alvoroço e alegria,
se algo novo se concerta.
Não foi minha ama uma fera,
pois sei que de humano tinha
uma beleza concreta:
uns olhos que de tão verdes
luziam na luz aberta
que entrava pelas janelas.
portas, varandas, jardins,
da minha casa deserta.

2. De minha infância deserta,
onde não cabia o sonho
e a hera crescia muda;
onde não havia trégua
entre o meu medo e o desânimo,
(Nenhuma pergunta ousada!)
No entanto, que infiltação
de suspeitas infundadas
criando mel com as abelhas
de que mal se imaginava.
Pois desde cedo assentado
ficara que, filho e gado,
pastariam onde apenas
lhe fosse imposto ou deixado.

VIAGEM A PORTUGAL- (1986)

É um prelúdio de alegrias e esperanças em que o poeta percorre a geografia, a história e a atmosfera lusitana.

1.Em Portugal, à sombra de mim mesma,
pela primeira vez fui livre
e sem cuidado,
amando o meu estar ali
de forma tão intensa
que mal me reconheci.

2.E, contudo, não era a liberdade
que a distância da pátria
(ou da família)
concedia:
mais densa e mais profunda, era
uma sensação tão nova
que ia ao antes de partirem as caravelas,
ao antes do antes em que se imaginavam
as grandes aventuras
e suas descobertas.

14.Lembrança de Camões, Pessoa, Eça.
À beira-mar ou na montanha,
era sempre um bem-estar,
era sempre um reencontro
com o que nunca vira
e reconhecia, no entanto,
como se alguma vez
por lá andara. Era na certa
o sangue português.

RETRATO

Em RETRATO, publicado em 1986, a autora como que reescreve alguns poemas de seus primeiros livros, num exercício crítico, lúdico, original e bem-humorado de metapoesia, em um surpreendente diálogo intertextual.
Alguns poemas:

- Referências explícitas a poemas do Cerco da Primavera, de Explicação de Narciso, de A Suave Pantera, de O Sangue na Veia, e outros.

De 3 Poemas a Campos: (Do Cerco da Primavera)

A CIDADE

Sobre o rio, sobre as casas,
cúpulas, ponte, avenidas,
com acertos de acrobata,
pássaros metade luz,
metade sombra, levantam
o meio-dia de prata.

Nenhum silêncio mais puro
que o destes azuis prateados,
com cimos de catedral,
ciranda de ventos e anjos;
com aves de plumas negras,
negro ritmo nos telhados.

Ao longe campos perdidos
verdejam de hastes e canas.
E são espadas flexíveis,
verdes, livres oferendas.
E moinhos que vão rodando
duro rito de moendas.

No centro a praça mais ampla:
edifícios, plantas, água,
e bronze de monumentos.
Tudo tão perfeito e certo,
como se eu estivesse junto,
num ramo claro de vento.

(De: RETRATO)

1.Houve um tempo em que escrevi:
Sobre o rio, sobre as casas,
cúpulas, ponte, avenidas,
com acertos de acrobata,
pássaros, metade luz,
metade sombra, levantam
o meio-dia de prata.

Mas o dia era azul e não de prata,
e nascia de si,
não de pássaros
(que também não eram acrobatas).
A realidade parecia insuficiente:
o céu tinha de ser de prata,
os canaviais, espadas flexíveis, (Cerco da Primavera)
logo os canaviais
que emitiam sons de harpa.
Mas também escrevi depois que
cada coisa está certa em seu lugar
cumprindo o seu destino.
(Só não me lembro onde).

2.Escrevi também aos dezessete anos:
Um rumor de vinho claro,
de bocas e mãos unidas
e um cheiro de mel e flor,
rasparam, ai, como espada,
meu corpo cheio de noite
e o teu, perdido de amor.
Por certo que não queria, (Cerco da Primavera)
mas tinha a cintura e o jeito
ao teu abraço achegados.
E na sombra relumbrava
a água verde dos teus olhos
nos meus cabelos molhados.
Como se eu não fosse de Campos
e não tivesse pais ferozes
e pudesse viver um encontro amoroso
sem ser na imaginação.

Mas também fui delicada
e falei do infinito
que esperava para além do umbral
e para além da porta.

3.E aos vinte eu escrevi: Raro cristal,
imagem pura e minha
no verde destas águas sossegadas.
Nas minhas veias um rebanho pasce
sua dor, sua antiga fúria de asas
e não turva a beleza de teu rosto (Narciso)
desnudo como um sol de prata e frio,
onde navegam peixes enlunados
seu mistério de amor e de infinito.
Nos teus olhos de céu quando tramonta,
que pássaro se cala de repente?
Que silêncio me apressa às tuas ondas,
ao teu amor, que o meu amor acende?
Que horizonte impossível grita sombra
nos separa e nos une para sempre?
Ninguém notou que eu não falava apenas
de um Narciso mirando-se nas águas,
mas de outra imagem na água projetada
pelo sonho impossível de um amor
que era tão grande e hoje se fez nada.
(Na realidade, porque sem mim existe
Com força poderosa e inalterada).

4.Sobretudo eu entendia
que era preciso mostrar
que não era só aquilo
que aparentava. E falei
da face múltipla e vária (Narciso)
deixada em vagos espelhos,
escondendo a necessária;
do indiferente sorriso,
do sonho heróico levando
a distantes mares, eu
que perscrutava o mundo,
o que existe e não existe
- e por detrás das mudanças
persistia (e persisto)
a mesma (e triste).

5. Falei depois na pantera
prisioneira de si mesma,
na negrura toda alerta.
E comparei-a a uma jóia
(que contivesse uma fera)
intensíssima e do próprio
sangue animada; (A Suave Pantera)
de sua fúria, que alcança
de si o máximo no amor,
à parte qualquer luxúria,
vaga, concreta, flutuando
(em si mesma) parada,
poderosa e bela.

Mas é claro que eu pensava
na condição do animal
todo presente a si mesmo,
íntegro, inteiro, atual,
enquanto nós nos perdemos
em pretérito e futuro,
sem dar a atenção devida
ao que de fato importa.

6.E houve então o momento
de celebrar a conjunção,
o amor, o sangue, o fogo,
a gema. E então falei
de uma gema que fosse toda fria,
mas na aparência (O Sangue na Veia)
e toda quente dentro;
de um silêncio que fosse uma cascata,
mas de que o próprio fogo
fosse o centro
e de que o próprio fogo fosse a água.

Sempre o recurso das imagens,
dos símiles, antíteses,
para falar do inefável,
lugar comum nesse tipo
de descrição (amorosa).
Usaram-nos San Juan
e também Teresa d’Ávila.

A FORÇA DA PAIXÃO/A INCERTEZA DAS COISAS (1982)

Alguns poemas

11. Um dia vou ser apenas uma biografia.
Nem isso, talvez, uma inscrição
numa pedra qualquer,
no pó que o vento leva,
na memória inconstante dos que amei
de forma certa.

29. Ser poeta não é ambição minha,
diz Pessoa,
é a minha maneira de estar sozinho.
É também a maneira de esquivar-me
à ação, eu acrescento,
subjugada por forças poderosas,
enquanto o pensamento
cava fundo
no abismo.

30. A função do poema: conhecer,
A função do teorema: desafio
que leva à abstração, à conjetura.
A função da esperança: convencer
que o poema, o teorema, a ciência, a invenção,
o semáforo, a história, a explosão
de Hiroshima; Picasso e sua glória;
o decalque, a estrutura, a rachadura,
a ruptura, a eternidade, a desmemoria;
a ignorância, a pobreza, a riqueza,
a insuficiência, a morte têm sentido.

41. A humildade de Borges. Quando o vi
pela primeira vez e lhe mostrei
o coração repleto de admiração,
me respondeu: “Si algun dia te dás cuenta
de que no soy lo que tú te imaginas,
no digas que no te avisé.”
Esta frase impregnou minha vida. (Comentar)

REFLEXÕES: O MUNDO E SUA PAISAGEM

XXV. O ovo é uma coisa demonstrável,
a casa é uma coisa demonstrável,
o quadro é uma coisa demonstrável,
o poema, o teorema, o filme
são coisas demonstráveis; a teoria
dos quanta, a infância irreversível;
a explosão da nebulosa inicial
em que nem sei se creio; a pobreza de alguns,
a riqueza dos outros; a erosão, a repartição
pública, a escoriação, o computador, a estase;
a lei que rege este universo,
o ritmo das marés que acompanha o da lua;
o cogito cartesiano;
a guerra, a paixão, a criação,
o crime, o adubo que faz crescer a planta.
Mas a calúnia é indemonstrável, segue
o caminho da injúria que uma vez
plantada prolifera:
é astuta, ambígua, vingativa, escusa;
é a escória que lixo algum recebe,
erva daninha cuja função talvez suprema
é acabar injuriando aquele que injuria.

XXX. Escrever é preciso, diz Pessoa,
viver não é preciso. Mas não sei
onde um começa e outro termina,
ofícios ambos destinados
a desembocar no Enigma.

INVOCAÇÃO DE ORPHEU / ALIANÇA

INVOCAÇÃO DE ORPHEU/ALIANÇA

Em 1980 é publicado Invocação de Orpheu, sobre o qual já nos referimos, e logo em seguida, Aliança. Esta última é uma obra repleta de homenagens a figuras admiradas pela autora. Segundo Antonio Houaiss, “alguns dos mais belos tributos críticos, lúcidos, válidos, perdurantes, afetivos a poetas seus cognatos de alma, como a Drummond, a Jorge Luís Borges, a Murilo Mendes, a Cecília, a Manuel Bandeira, a Clarice, a São Francisco”. E, acrescento eu, a suas filhas amadas, Mônica e Patrícia.

Alguns poemas:

A Jorge Luís Borges

XI. Já cego e um pouco surdo o conhecemos,
falando baixo e pausado.
Era uma noite diferente,
acompanhada da leitura de Whitman,
de um poema em anglo-saxão,
de considerações sobre Euclides
e seus Sertões.

Impregnado de um invisível deus,
divinizado pela aceitação
do mais inaceitável para quem sempre conviveu
com os livros: a cegueira,
que o faz vacilar entre a informação de uma voz
e o rosto que a acompanharia,
o secreto desejo de recobrar a cor
de um poente em seus passeios
pela Recoleta
ou num subúrbio qualquer de Buenos Aires.

A Carlos Drummond de Andrade

IX. Poeta do finito e do infinito,
tempo presente e ausente e do futuro,
de tudo um pouco te ficou na austera
concepção de vida, ó demiurgo
da memória, do sonho, do sarcasmo,
da violência contida e sem triunfo,
da doçura do hóspede secreto
de si mesmo
rebentando-se em dor, amor, soluço;
que te dizer no dia abençoado,
eu que nem sei de mim, eu que me sei
agora remetida à tua lição
de dançarino aflito sobre os fios
finos, tênues e tensos da canção?

O pórtico arruinou-se de meu sonho,
a tristeza infantil revigorou-se:
meu canto não celebra o que interpreta
na inspeção, de que falas, dolorosa
do deserto.
Já não saúdo ao jeito natural
de quem sabia adormecer crianças.
O sino toca e não percebo: falta
a malícia das coisas, a aliança
secreta com o que existe.
Ó meu jovem poeta,
não te consome o tempo irreverente:
és a mina de tudo o que ainda anima
a aceitação difícil do mistério,
a solércia dos mitos que o amor
vai criando de forma insidiosa.

Atento te debruças sobre a vida,
assistes impassível ao desmonte
e ao recriar-se, franco, cada dia,
de um céu mofino, um tempo de pesares.

Mas de tal modo, poeta,
extraordinária
é a tua percepção do que se vive,
que nem te rapta o sonho,
nem te perde a obscura realidade.
Pairas, tranquilo, sobre as coisas,
herdeiro penseroso do milagre.

(Ausência de Mônica)

XII. Nesta casa vazia recomponho teu rosto:
o dia não desculpa
a forma escura e fria,
uma floresta feita
só de silêncio e ausência.
Falta o ofício de te ver
despertar lentamente,
violenta aurora de meu sangue,
aprendiz do que sonha o meu amor,
o curto espaço que nos separa
esteriliza o suspiro mais radiante,
a forma comovida
de um mundo sem sentido.
São prendas que algum dia hás de entender:
o amor, que é também cólera
e aço e cobre e ouro irreversível,
a saudade daquilo que se tem (ou teve),
do que não se comanda com a vontade.

Eu te confio o enigma de ser
na treva, o dia claro e sem presságio,
na luz, o espaço daquilo que se perde,
entrelaçados ambos
no incerto jogo vivo,
motor do que se pensa ou se advinha.

Eu te anuncio
o caprichoso, vário, imerecido desconcerto,
o vão recolhimento ao catre de lembranças
e o despertar um dia para aquilo
que milagrosamente nos circunda
e de tão perto nem vemos:
o difícil presente inacessível.

O que tenho te lego:
a paixão do intelecto
e o respeito daquilo que nos move tão de dentro
que não se entende,
a veia casta de uma secreta ligação com o mundo,
o pessimismo sempre discutível,
mas sobretudo o amor,
que dispensa até mesmo o entendimento.
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sexta-feira, 10 de outubro de 2008

MARLY DE OLIVEIRA interpretada por Lauro Moreira

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Lançamento CD

MARLY DE OLIVEIRA
interpretada por Lauro Moreira


Novembro
Dia 3
Instituto Camões, Embaixada de Portugal, Brasília
Dia 5
Fundação Jayme Câmara, Goiânia
Dia 7
Casa da Ópera, Ouro Preto

A propósito deste CD
Por sua origem erudita, sua linhagem clássica e sua alta qualidade literária e filosófica, a exigente obra poética de Marly de Oliveira foi celebrada por figuras do porte de Alceu de Amoroso Lima, Augusto Meyer, Clarice Lispector, João Cabral de Melo Neto, José Guilherme Merquior, Manuel Bandeira, Carlos Drummond de Andrade, e até pelo grande poeta italiano G. Ungaretti.
Escrevendo sobre ela em 1989, Antônio Houaiss lamentava que, em vista das sérias deficiências do ensino da língua portuguesa no Brasil, poucos seriam os leitores que saberiam situar-se nesses escritos. Mas arrematava convicto que "tempos virão em que isso se alcançará e Marly de Oliveira - poeta por ora de poetas- será poeta de todos nós, que a leremos emocionados e gratos pela coragem e beleza que esparziu no nosso mundo."
Admirador fervoroso dessa obra poética desde seu nascedouro, pretendo - com este álbum onde interpreto 120 poemas de 12 de seus 17 livros publicados - não apenas prestar à autora uma homenagem póstuma mais que merecida, como sobretudo contribuir para sua difusão e para que a profecia de Antônio Houaiss se realize o mais breve possível.
Lauro Moreira

CONTATO

CONTATO – (1975)

É, segunda sua autora, “la rencontre manquée” de que fala Lacan. “É o meu fracasso diante da opacidade do outro ou da minha vontade de transparência”.
Ou seja: a constatação final da absoluta impossibilidade de se estabelecer uma real comunicação com o outro.

ALGUNS POEMAS DE "CONTATO":

1. O meu amor que pensa
o imcompreensível, nítido
universo, não busca no imediato
fruir, na mera urgência
de não ser, o sentido
das coisas, este fino, breve, claro
ir do não-ato ao ato,
ou da não-vida à vida,
o tranquilo mover-se
entre sonhos que versa
-que poderosa mente? e não sabida
fonte de tudo em mim
que a mão estendo, e nem sei a que vim.

O palpável vazio
de tudo é um abstrair-se;
o concreto real: símbolo e soma
e forma de aludir.
Se comtemplo e não vejo,
se a cada passo a vida não assoma,
é em mim que se retrai,
eu que, no entanto, aspiro
à integração no frio
e vivo suceder,
ao não-eu de meu eu como a perfeita
maneira de contato,
ou atualização do amor em ato.

Ditoso tempo, a firme
primavera reinventa-se,
e o não-amor suposto é o mais-que-amor
subterrâneo, que elide
o fluir certo, e a lenta
floração propicia, num rigor
minucioso de cores,
de silêncio e luz vária.
A atualidade muda
do que vive me afunda
em secreta alegria ante essa calma
surpresa de existir,
num dilatar-se, amor, que é restituir.

quinta-feira, 9 de outubro de 2008

A VIDA NATURAL

A VIDA NATURAL – (1967)

O livro seguinte, A Vida Natural foi publicado também em 1967, juntamente com O Sangue na Veia. Ambos evidenciam aquilo que Antonio Houaiss tão bem chamou de “sentidos sentidos”. Diz ele: “E tudo em contato de coisas velhas e revelhas, a terra, o campo, as ervas, as águas, águas claras, cristalinas, vôos e sangue e sol e fogo e frio e fome, fome de vida, fome de amor, fome de vida”.

As reflexões de A Vida Natural nascem a partir de uma viagem de Marly a Brasília, mais especificamente a Goiás, e a algumas pequenas cidades e fazendas da região. O contato quase inaugural com a natureza em seu estado bruto, para ela que passara os seus jovens anos até então entre livros, Rio e Roma, teve o impacto de uma revelação. Foi uma constatação fascinada com árvores crescendo, bichos nascendo, rios correndo e “crepúsculos lentos e arroxeados”… Mas a dúvida, o questionamento sobre a perenidade das coisas e sobre nosso estar no mundo, juntos e diversos desta mesma natureza, estão igualmente presentes nesses poemas, cujo bucolismo amoroso nos faz pensar em um Bernadim Ribeiro, e cuja estrutura formal nos remete a Dante e suas sextinas, às canções provençais, a Petrarca, a Guido Cavalcanti. Lauro Moreira
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ALGUNS POEMAS DE A VIDA NATURAL:
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I. Aqui e agora a vida recomeça
das plantas, aves, nuvens cristalinas,
num presente que vejo e não alcanço,
que sinto e não entendo, presa a essa
forma de amar, que vai às fundas minas,
onde se é no tempo sem descanso,
e se tem, ouro vivo, em cada flanco,
o silêncio escorrendo como a neve,
que desfizesse a luz de alguma chama,
ou o ardor do que ama,
e por amor na mesma neve ferve.
Assim, se o que me é dado se me escapa,
ainda mais o real presente escapa.

O divino real, que é cada coisa
no seu lugar, que é sempre aqui e agora,
e inteiros solicita o corpo e a alma;
o divino imediato, em que repousa
tudo aquilo que vive e que tem forma,
ou não a tem, diluída na água clara
do disperso pelo ar, a imensa, calma
fonte que verteo nu. Olho-me longe
desse perfeito hoje, desse uno
presente, pelo muito
imaginar, andando terras, onde,
se se pode cair no inferno vivo,
se foge ao atual, divino vivo;
se foge à integração nesse absoluto,
que é a direta experiência do que existe,
para tão parcos olhos excessivo
clarão, sons inaudíveis, altos, bruscos
movimentos que escapam ao limite
do nosso entendimento possessivo.
Assim me perco, assim não divinizo
o que é substância em mim divinizável,
o de onde estou contemplo em desamparo
o êxtase puro, o vasto
império do que vive sob o grave
jubiloso silêncio que há em tudo,
ou se transforma em tudo nesse tudo.

II. Mais que estes leques
de plumas suaves
que agita um vento
que não se vê,
mas baila e canta,
sinto que a vida,

mais que esta terra
e que estas flores
variadas, limpas
e tênues, sinto,
mais que estes ares,
sinto que a vida,

a vida é,
corre nas veias
como nos rios,
na seiva bruta,
no bicho quente,
no miúdo peixe,

em qualquer alga
macia e fria,
e não separa
gente de bicho,
só unifica,
na indiferença

mesma que anima
o que se move
ou não se move.

A vida é,
como a medula
de qualquer planta,
como o silêncio
que há numa gema,
como o escorrer
de todo rio
é puro e certo
e instransponível.

Tudo independe
de mim, de ti,
do que é vontade
simples e humana,
e tudo é grande,
claro, perfeito.

Só me limita
a consciência
de ser quem sou,
de me saber
e me pensar
junto e diversa

de tudo isso
que apenas vive
na sua glória,
na sua grandeza
insconsciente
e harmoniosa.

XII. O meu amor, que livre anda de engano,
ambiente natural
encontra nestes campos, onde a relva,
levemente movida pela brisa,
ao contato é macia,
e o boi rumina, sem espanto, a sua
doçura de vagar,
olhos postos nas coisas, distraído;
um cavalo anda longe,
e a crina se desfralda como um leque,
aberto por um vento muito brando.

Meu amor se acomoda entre estas pedras
como a seu leito o rio,
a asa do inseto ao corpo delicado,
ao morno ventre o bicho não nascido.
Como fronde se inclina
aos meus suspiros, que deitando vou
aos transparentes ares,
quando o arvoredo a fina brisa agita.
Ah deleitosa vida,
pelo arado do sonho sou levada,
e o que fazes de mim é o que me fica.

Sem qualquer pensamento ou sentimento
que de leve me afaste,
mergulho na secura do que vejo.
Cada coisa está viva em seu lugar,
cada coisa está certa;
o Inverno seca apenas o exterior,
deixa a umidade interna.
Que sei de olmos e faias e olorosas
ervas? De mim que sei?
o ritmo do que vive é tão perfeito
como o do ar que entra e sai pelas narinas.

XIX. Aqui desta varanda
espaçosa que dá
sobre um jardim e sobre o imenso largo,
contemplo sossegada
o cair, sobre as coisas,
lento, do dia, o céu por todo lado.
Contraponho o silêncio
desta vida perfeita,
à vida que se vive
na cidade, em tumulto.
A minha pálpebra sustenta o peso
da tarde, que me fecha
num sonho, vagarosa.

Sonhamos o que vemos?
ou somos nós o sonho
daquilo que não vemos no que vemos?
A matéria das coisas
me desmaterializa
ao ponto de me ser inatingível
o sentido de estar,
o sentido de ser
distinto delas. Ah,
quem me é? quem me sabe,
sob este céu de estrelas quentes e úmidas?
Não vivo, sou vivida
na noite, pelas coisas.

O SANGUE NA VEIA

O SANGUE NA VEIA

O Sangue na Veia, por sua vez, reúne 46 sonetos decassílabos, encadeados por uma longa reflexão sobre o tema do Amor, visto como algo vital, porém consciente e lúcido, (“conhecer e abrasar-se” de Vieira, e não a imagem de Cupido com os olhos vendados); algo que segue uma rota própria, um caminho preciso e limitado, como o sangue na veia. Aqui tão pouco sobra espaço para tons crepusculares, e Eros é celebrado como convém.
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ALGUNS POEMAS DE O SANGUE NA VEIA:

I. A carne é boa, é preciso louvá-la.
A carne é boa, não é triste ou fraca.
O que a atinge é a fraqueza que há num homem,
a tristeza, maior que um homem, mata-a.
A carne nada tem, salvo o seu sono,
barro tranquilo de harmoniosa forma,
corpo que distraídos animamos,
fonte real de toda a nossa glória.
A carne é o instrumento do princípio,
é por ela que eu vivo, que vivemos,
e se revela o amor como é preciso;
o que está fora se une ao que está dentro,
alma e corpo no corpo confundidos,
e a sensação completa de estar vendo.

II. Mas vendo o quê? com os olhos, os sentidos.
Que visão nos permitem, salvo aquela
instantânea e fugaz, que não dirijo,
e que não suportamos de tão bela.
O ver tranquilo, sem excesso, eu quero,
como a luz delicada que há num barco,
numa folha, num bicho; um ver quieto,
que, absorvendo o real, nos deixe fartos;
um ver maior que a fome, dilatado;
um ver maior que a sede, diluído;
um ver-amor, não água, como um cacto,
mas um cacto não áspero, e sim liso,
um cacto que pudera ser domado,
e, não sendo água, ser todo bebido.

III. Assim o amor, o que não se dissolve:
como um cacto real, sem aspereza.
Assim o amor real é como um cacto,
o que não se dilui em farta seda,
mas se amacia em seda farta e doce,
e, não sendo água, nem sendo diluível,
é o que se toca e sente, e ver-se pode
não vendo, como aquilo que é sorvido,
e é água sem ser água e sem ser sangue.
E sem ser água tudo dessedenta,
e é quase um fogo essa água toda lenta,
água não água, essa água consistente,
a que se cristaliza numa gema,
numa gema que fosse toda quente.

IV. Uma gema que fosse toda fria,
mas na aparência, e toda quente dentro,
e que tivesse a lisa superfície
do que se usa com grande atrevimento,
mas no íntimo, uma gema toda calma,
quase uma água esse fogo nos doendo,
um silêncio que fosse uma cascata,
mas de que o próprio fogo fosse o centro
e de que o próprio fogo fosse a água.
Assim o amor, assim o que se espalha
e não entorna, e vive do que vive,
e é móvel e capaz de ter limite;
assim o que se adentra e se dilata
como o sangue na veia, e é todo livre.

XVII. É como renascer de uma onda brava,
assim belo e esperado, e com a alegria
de quem foi surpreendido pela água,
que sabia que vinha, mas não via.
Os corpos se movendo para a clara
constatação da dor que se queria,
onda violenta como de outra onda
toda naturalmente renascida;
os corpos suavemente se movendo
em suave ondulação de coisa fria,
e movendo-se sempre para dentro,
- a alegria do amor é uma agonia –
cada vez mais cerrado e mais intenso
aquilo que nos move e que não víamos.

XXII. Eu caio em ti como uma bruta pedra
na água, no amor não me dissolvo, o amor
não me absolve, estou (quem nos governa,
quem nos arrasta à guerra ou ao repouso)
colada a quê? Um copo sobre a mesa.
Menos que o copo, o fundo desse copo,
e, não obstante, para sempre presa,
pois o que basta é tudo o que não posso,
pois o que basta é tudo o que me exige
uma violentação do que, por dentro,
é o meu mundo, essa coisa indefinível
e tão concreta, mas que não conheço,
e às vezes temo que me paralise.
Viver é submeter-se, em me submeto.

XXVI. A minha descoberta essencial:
a de que o amor é o pulso do que existe,
e o que existe, existindo, é limitado,
e o que vive não tem escolha, vive,
e só segundo o amor que lhe tivermos
é que o veremos e que o alteraremos.
Como deixar, se a vejo, a flor em si,
se o que vejo é também o que não vejo,
e o que passa a existir dentro de mim?
Olho a flor, ela fica toda olhada,
vejo a flor, modifico-a porque a sinto,
porque sou livre para dar-lhe uma asa
com só vê-la parada e se florindo.
Tu, só tu, puro amor, podes o nada.

XXVII. Tu só, tu, puro amor, podes o tudo
desse nada essencial que transfigura,
sem fugir ao real e ao seu contorno;
o tudo desse nada sem usura,
o tudo desse nada irreparável,
o tudo desse nada que subjuga,
a que não fujo, a que nós não fugimos,
em virtude de sermos contra a fuga,
em virtude de sermos contra a luta
em virtude de eu ser quase passiva,
e de aceitar, sendo de amor, o jugo.
Tu só, tu, puro amor, podes o tudo
desse nada essencial que nos incita.

XXIX. Tu só, pões-me no peito essa cobiça,
e mais que essa cobiça, essa doçura
agônica escorrendo pelo corpo,
como um óleo sem paz essa doçura,
esse medo, essa forma de querer
obsessiva, essa forma quase injusta.
De repente eu não caibo mais em mim,
de repente eu me torno plena e obscura,
como um rio de cheias muito altas,
que fosse para além do seu limite,
e não soubesse o que fazer das águas.
Assim o amor excede o que se vive,
e no meu pensamento ele se espraia
com aquela perfeição que há no impossível.

A SUAVE PANTERA

A SUAVE PANTERA - (Prêmio Olavo Bilac, da Academia Brasileira de Letras -1963)

Nos dois livros seguintes – A Suave Pantera (Prêmio Olavo Bilac, da Academia Brasileira de Letras) e O Sangue na Veia, que buscam uma certa objetivação do poema – sai de cena o travo de melancolia e sofrimento, derivado da sensação de impotência diante da fugacidade do tempo. A pantera, estuante de vida, está toda presente em si mesma, sem passado e sem futuro, e portanto sem angústia. Nela coexistem a fome, a cólera, a liberdade, o amor e o sono – mas não a consciência da morte. Lauro Moreira
1. Como qualquer animal,
olha as grades flutuantes.
Eis que as grades são fixas:
ela, sim, é andante.
Sob a pele, contida
- em silêncio e lisura -
a força do seu mal,
e a doçura, a doçura,
que escorre pelas pernas
e as pernas habitua
a esse modo de andar,
de ser sua, ser sua,
no perfeito equilíbrio
de sua vida aberta:
una e atenta a si mesma,
suavíssima pantera.

2. É suave, suave, a pantera,
mas se a quiserem tocar
sem a devida cautela,
logo a verão transformada
na fera que há dentro dela.
O dente de mais marfim
na negrura toda alerta,
e ser de princípio a fim
a pantera sem reservas,
o fervor, a força lúdica
da unha longa e descoberta,
o êxtase de sua fúria
sob o melindre que a fera,
em repouso, se a não tocam,
como que tem na singela
forma que não se alvoroça
por si só, antes parece,
na mansa, mansa e lustrosa
pelúcia com que adorna,
uma viva, intensa jóia.

4. Mas é no amor que essa fúria
alcança de si o máximo.
À parte qualquer luxúria,
à parte a falta de tato,
se se alça e ganha a medida
de seu corpo todo casto,
há que ver-lhe a esbelta e lisa
figura de todo lado,
quando toda se descobre
- como um cristal se estilhaça –
amando a vida, ai, amando
a vida que passa, passa.
Tão projetada num sonho,
nem se diria uma fera,
contida, casta e polida,
com tanto furor interno.

5. Com tanto furor interno,
quem a livra, quem a livra
de ser o seu próprio inferno,
de, pelo fogo da ira,
consumir-se estando quieta,
de acabrunhar-se sozinha.
Nem se diria uma fera!
Nem se diria rainha!
As patas pisando o chão
têm uma dura leveza,
os pelos brilhando de ônix,
- de si mesma prisioneira –
caminha de um lado a outro
como pelo mundo inteiro.
Há esmeraldas de silêncio
nos seus olhares acesos.

13. A fome de um bicho
- e mais se é pantera –
não tem o limite
que tem gente tivera.
Não é como a fome
violenta, direta,
subjetiva, do homem,
a fome da fera.
A fome de um bicho
é cruel e eterna,
e toda inconsciente,
com uma força interna.
É fome indistinta
espalhada nela,
com íntima fúria
que ela não governa.

16. Além de precisa é ubíqua,
outra vantagem mais forte.
Por toda parte é sensível
sua graça, como um broche,
ou como coisa pousada
e em si mesma repentina:
os olhos onde violetas
cobram cores agressivas,
a cauda suspensa e lisa
como nuvem sossegada,
não solta, não qualquer nuvem,
nuvem presa como uma asa,
o corpo todo concreto,
todo animal, perecível,
e mais uma ânsia por dentro,
de ser livre, livre, livre.

EXPLICAÇÃO DE NARCISO

EXPLICAÇÃO DE NARCISO – (1960)

Em seu segundo livro, Explicação de Narciso, o poeta se vale do mito grego – como de resto o fará em vários outros momentos de sua obra, sobretudo em Invocação de Orpheu, onde se dá a “iminência do encontro frustrado” – para refletir sobre o tema da beleza pura, completa em si mesma.

- Narciso, no entanto, é também o ser que caminha inelutavelmente para a solidão e para a morte.

- Símbolo da beleza, era filho do deus Cefiso (rio) e da Ninfa Liríope. No dia de seu nascimento, o adivinho Tirésias vaticinou que ele teria uma vida longa, desde que jamais contemplasse a própria imagem.

- O enfoque dado por Marly de Oliveira ao mito do Narciso, difere dos enfoques de poetas anteriores, como Ovidio, Valléry e Mallarmé, mais presos à versão tradicional da mitologia, ou seja, Narciso um dia se vendo refletido no espelho das águas, apaixona-se por si mesmo, e afoga-se na fonte, à beira da qual nasce a flor com seu nome.
Para Marly, Narciso ao se mirar no espelho das águas se vê para além da sua imagem: seria o Eterno, a Beleza? E a isso, diz o poeta, ninguém subsiste. Em uma visão religiosa, Deus é o Transcendente, o Para lá desta ordem de coisas. Segundo a frase da Bíblia, não se pode ver a Deus sem morrer. Lauro Moreira

ALGUNS POEMAS DE EXPLICAÇÃO DE NARCISO:

1. Que outros continuem vendo
teu esgarçado sorriso
sobre tuas próprias ondas
feitas fonte e paraíso.
Dizem que o cristal das águas
era teu rosto prateado,
e julgam que teu segredo
já foi todo desvendado.
Mas eu sei que outros desígnios
te dobraram sobre ti,
e obedeceste a uma lei
que não tem princípio ou fim.
Para além de tua imagem
E de ti mesmo, te viste.
Eras o eterno, a beleza?
E a isso ninguém subsiste.

2. Eu pastava meus rebanhos
Pelas campinas sem fim.
Mas me chamaram Narciso,
teria que ser assim.
Por mais que houvesse caminhos,
todos trariam a mim.
A fonte de águas veladas,
o cerco e assombro do dia,
e as águas me refletindo
no seu dorso cristalino,
mesmo que não existissem
não fugira ao meu destino.
E mesmo que não pastasse
pelos campos minha grei.
Mesmo que fosse adivinho,
profeta, mendigo ou rei,

pois aprouve aos deuses que eu
no nome trouxesse a Lei.


3. Diante de mim, nestas águas
quem sou, que não me preciso?
Ai, que sonho tão temível
assim me turva o sorriso?
Que amor, que presságio cingem
a cabeça de Narciso?
A que secretos poderes
se confia minha sorte,
se o que frágil vejo na água,
em mim se torna mais forte,
e onde sei que está a vida
encontram todos a morte?
Entre mistérios tão vastos
que breve instante que somos!
De repente descobrimos
que estamos. Mas onde? e como?
Por mais que nós nos dobremos
sobre nós e o que já fomos,
à inútil pergunta nossa
somente o eco responde.
E diante outra vez de nós
estamos. Há quem nos sonde?
E de que espaço ou que tempo
nosso eco responde? de onde?

9. Os duendes luminosos e feridos
chegaram levemente com seu jeito
de renas silenciosas cor da tarde
que morre pouco a pouco no meu peito.
E tudo tudo se confina e diz-me
que estou só como nunca assim brilhante
em uníssona voz que mudo escuto
à margem dessa morte e desse instante.
Eu me busquei essa aventura triste
de estar comigo e com meu pensamento,
essa forma de amor que vai matando
o mundo para mim e em mim o tempo.
De ser como o coral ou como o mármore
que se faz de esperança e eternamente,
e de deixar que o coração se vare
por uma luz safírica de duendes.

10. Quem soube das estepes gloriosas
ou dos campos vazios que sofreu
em seu silêncio e seu martírio o amor,
esse ouropel, esse húmus, essa morte? Eu.
Há quem enfrente um céu flechado e mudo
como um trevo, uma palma que se dá
à miragem deserta e solitária
das heras e dos muros e crepúsculos? Há.
És a ninfa tardia das moradas
onde por sempre a sombra começou
e o silêncio jogou raízes de água
no coração das pedras e dos musgos? Sou.
Companheira noturna destas grutas
onde o sumo do tempo se fez jade,
nas luzes que o futuro vai forjando
há de ter fim as sombras destas tardes? Há-de?

19. Consomem-se os lauréis da minha vida
em quatro dias, quatro eternidades
memoráveis de esperas e de lutas
contra mim mesmo e o tempo que me cabe
com seu noturno archote e muda flama,
e este silêncio, que é de amor ainda,
rastejando seus males e o infortúnio
contra um redor de festas e vindimas.
Um céu pressago sobre mim desaba
seu manto esquivo azul com mãos tão frias
que o coração e tudo em mim naufraga
avaramente, e logo se aniquila,
como a sombra que em sombra se desata.
E estou tão só que a solidão cintila.

CERCO DA PRIMAVERA

CERCO DA PRIMAVERA (Prêmio Alphonsus de Guimaraens – 1958)

Desde seu livro de estréia – Cerco da Primavera – publicado em 1957, quando era ainda uma jovem universitária, Marly de Oliveira surpreendeu a leitores e críticos com uma obra que nasceu pronta, definitiva, “como Atenas, da cabeça de Júpiter”, na expressão de Alceu de Amoroso Lima, e que mereceu o Prêmio Alphonsus de Guimarães, do Instituto Nacional do Livro. Ali já estão presentes os temas essenciais do poeta, reiterados nos 16 livros publicados desde então, e resumidos numa permanente indagação filosófica sobre os mistérios e a fragilidade da vida.

- Primeiro verso do primeiro poema do primeiro livro
(“Eu. E diante da vida…”)

- Livro de uma jovem poeta perplexa ante os mistérios do mundo, acreditando de certo modo no poder da poesia como chave para abrir esses mistérios. O poeta percebe, em seguida, a insuficiência da arte para apreender e compreender o mundo, a vida. O máximo a que a poesia pode aspirar é refletir, em termos estéticos, esta busca permanente e essa consequente perplexidade diante do mistério insondável.

- Mas, essa incapacidade para entender o mundo não paralisa porém o tempo, em seu fluir incessante.

- Um breve levantamento vocabular do Cerco da Primavera testemunha essa fugacidade das coisas e da vida:
• um esbatido de pássaro;
• no redondo das horas;
• pássaros calmados;
• rosa, flor, aceno;
• fogo de lírios;
• silêncios desvelados;
• um rio de claridades, tempo, luzes, auroras, noites, crepúsculos, água, vento, manhãs puras, horizonte, vagos espelhos, trêmulo instante, sonho, nuvens, distantes mares, alto vôo, sombra, cristal da vida, cirandas de ventos e anjos, etc.

- Esse fluir incessante vai desembocar naturalmente no não-ser, na morte.

- O amor e a morte são os temas básicos do Cerco da Primavera. E é a própria autora que confessa: “Ainda adolescente, o grande terror era o da morte, só compensado pela ideia do amor. Amor e morte são os temas fundamentais desse livro, que pretende por medo da dissolução, uma afirmação da minha identidade, a sensação penosa de uma solução que ainda é desafio e orgulho.”
Lauro Moreira
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ALGUNS POEMAS DO CERCO DA PRIMAVERA:
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INSCRIÇÃO
Eu. E diante da vida,
com meu azul intacto,
Um esbatido de pássaros.
Alto no vento. Grato.

A sensação de ser
só, uno, um, completo.
No redondo das horas,
pleno, lúcido, cego.

O que de mim salvando
se vai a cada instante,
nesse morrer diário
e sucessivo: um canto.


EPIGRAMA
Bom é ser árvore, vento:
sua grandeza inconsciente.
E não pensar, não temer.
Ser, apenas. Altamente.

Permanecer uno e sempre
só e alheio à própria sorte.
Com o mesmo rosto tranquilo
diante da vida e da morte.

RETRATO
Deixei em vagos espelhos
a face múltipla e vária,
mas a que ninguém conhece
essa é a face necessária.

Escuto quando me falam,
de alma longe e rosto liso,
e os lábios vão sustentando
indiferente sorriso.

A força heróica do sonho
me empurra a distantes mares,
e estou sempre navegando
por caminhos singulares.

Inquiri o mundo, as nuvens
o que existe e não existe,
mas, por detrás das mudanças,
permaneço a mesma, e triste.

TRÊS POEMAS DE OUTUBRO
1. Lume, teu rosto,
agudo e novo
como um descobrimento,
E tuas mãos silêncio,
como noturno fruto
pendido sobre mim.
Eu em ti,
com meus arroubos de ave,
mas sem querer partir.

2. Quando às vezes te assalto
com meu querer noturno,
ébrio de mãos e beijos,
não é alguém que busca
o limiar de um lábio
ou vinho, para a mesa.
Alguém de copo em mão,
no umbral da tua porta,
o infinito suposto
quer, para além do umbral
e para além da porta.

3. No céu inteiro penso,
amplo de vôos límpidos
e bicos musicais,
torso desnudo e azul
como o de um pombo triste,
nuvens como asas doces,
de um corpo altivo e elástico.
No espaço em que naufrago,
onde as horas não querem
portais ou tetos, penso,
quando te chamo pássaro.

MORTE
E lutarás comigo,
fresca ainda de vento,
presa às luzes do dia
pelos cabelos últimos.
Quebrantarás meus olhos,
sei.
Apagrás as mãos
para a ternura,
para o amor,
também sei.
E alçarás a distância
entre mim e quem amo,
imperdoável.
E me terás por fim.
Mas se entrega, dura.
Mais que difícil,
fria.

ELEGIA
Teu rosto é o íntimo da hora
mais solitária e perdida,
que surge como o afastar-se
de ramos, brando, na noite.
Não choro tua partida.

Não choro tua viagem
imprevista e sem aviso.
Mas o ter chegado tarde
para o fechar-se da flor
noturna do teu sorriso.

O não saber que paisagens
enchem teus olhos de agora,
e este intervalo na vida,
esta tua larga, triste,
definitiva demora.